
— Il mio percorso, la mia visione
l mio percorso parte dall'architettura, ma si è sempre intrecciato con altri saperi: diritto, neuroscienze, filosofia, urbanistica. Scrivere, per me, non è mai stato un gesto isolato: è costruire ponti tra discipline, dare forma a sistemi di pensiero, tradurre la complessità in parole.
Negli anni ho partecipato a progetti editoriali e collaborativi con diversi autori e realtà, convinto che la scrittura sia più fertile quando nasce dal dialogo. Il tema della giustizia, in senso ampio, è la costante che attraversa la mia ricerca: non come concetto astratto, ma come questione vitale che riguarda libertà, vulnerabilità e futuro della comunità.
Oggi raccolgo questa esperienza in nuovi progetti di scrittura, in cui il libro non è solo un'opera da leggere, ma un manifesto da condividere e discutere.
— Competenze
Architettura di sistemi complessi
Scrittura e comunicazione
Neurodiritto e scienze della vita
Pensiero critico e visione indipendente
Costruzione di comunità
— Educazione
Politecnico di Milano
Laurea Specialistica, Architettura e Costruzioni
Universidad de Buenos Aires (UBA)
Laurea Magistrale, Arquitectura
— Corsi
Diritto e Neuroscienza
UBA/2001
Psicologia dei processi sociali
UBA/2000
Progetti Letterari
"La giustizia non la fanno gli avvocati"
Manifesto per la giustizia del futuro
Saggio-Manifesto
Il progetto non nasce da una cattedra universitaria, ma da un'esigenza culturale: superare la frammentazione dei saperi e proporre un nuovo quadro di giustizia. Oggi neuroscienze, criminologia e diritto penale producono una mole immensa di conoscenze specialistiche, ma queste rimangono spesso separate, parziali, inaccessibili al dibattito pubblico.
Il mio percorso non appartiene né al giurista né allo scienziato: è quello di un professionista outsider, che costruisce visioni da altri punti di vista. La progettazione insegna a ideare sistemi complessi, a far dialogare materiali diversi in una struttura coerente e sostenibile. Così, nel progetto, il mio compito non è quello di aggiungere un manuale accademico alla lunga lista di titoli esistenti, ma di costruire una architettura concettuale che riunisca i saperi in una visione comune.
Il libro non pretende di sostituirsi alla ricerca scientifica o giuridica: la assume, la ascolta, la valorizza. Ma va oltre: mostra come quei dati, quelle prove, quelle conoscenze possano cambiare la stessa logica della responsabilità e della pena. In questo senso, è un manifesto, non un trattato; una proposta culturale e politica, non una dispensa universitaria.
Se i giuristi insegnano diritto, i neuroscienziati insegnano il funzionamento del cervello e i criminologi insegnano il comportamento criminale attraverso un approccio multidisciplinare, il mio ruolo è un altro: disegnare il ponte. Dare forma a un paradigma possibile, dove la giustizia non è monopolio di una professione, ma bene comune, e dove la verità non si misura più in arringhe retoriche, ma in dati verificabili.

— Il Uomo Limbico
Quando la legge giudica il cervello, non l'azione
Un uomo commette un crimine. Non è malato, non è folle: è normale. La sua colpa non nasce da un delirio, ma dal funzionamento stesso del suo cervello.
Da qui prende avvio un romanzo-saggio che immagina l'avvento del CPB, un sistema di giustizia in cui i giudici sono algoritmi, i neuroscienziati decidono il destino degli imputati e gli avvocati diventano figure residuali, odiate dall'opinione pubblica.
La storia attraversa cinque atti:
- Il crimine: il fatto nudo e freddo, osservato come un evento biologico .Il nuovo sistema: l'entrata in scena del CPB e del giudice-robot.
- La vittima e il sistema: la sofferenza individuale e collettiva che mette in crisi la nozione stessa di colpa.
- La rivolta: la società esplode in conflitti, tra linciaggi di avvocati, proteste femministe e suprematisti in piazza.
- L'equilibrio impossibile: un verdetto inappellabile, che rieduca biologicamente il colpevole, lasciando però la vittima sola.
- L'uomo limbico è un romanzo provocatorio che interroga il lettore: la giustizia del futuro sarà più giusta o più disumana?
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